Riportiamo un estratto dell’articolo di Matteo Lancini e Loredana Cirillo sulle paure degli adolescenti, pubblicato sulla rivista Psicologia contemporanea di Marzo-Aprile 2018.

Esistono paure ataviche, ancestrali, che accompagnano gli esseri umani da sempre, come la paura dell’ignoto e della morte, del non conosciuto, del non pensato, dell’invasione nemica, della guerra, dell’epidemia, dei disastri naturali. L’attacco alla sopravvivenza genera inesorabilmente paure e ansie anticipatorie adattive, che hanno la funzione di tutelare dal rischio estremo per la specie. Al di là di queste paure, all’essere umano appartengono fobie allocate ad un livello meno recondito della mente, più di carattere affettivo e che sembrano risentire maggiormente della fase evolutiva specifica in cui si sperimentano, sono cioè più ricorrenti in alcune età della vita rispetto ad altre.

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Le paure sono dunque indicatori preziosissimi delle tensioni e delle ambivalenze  che albergano dentro ognuno di noi, risentono della nostra storia personale e della nostra organizzazione intrapsichica, ma vengono influenzate e suggerite anche dal contesto socioculturale in cui viviamo. Ciò che accade intorno a noi, non solo nel limitrofo ambiente familiare ma a livello sociale più ampio, ha un’influenza sostanziale nell’orientare paure e ostacoli, nel determinare valori di riferimento con cui confrontarsi nella crescita e modelli di identificazione.

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Gli adolescenti odierni non hanno solo una generica paura di cambiare che fa da contraltare alla spinta prepotente alla trasformazione, prima di tutto corporea, e più complessivamente identitaria. L’epoca storica in cui vivono pone di fronte al loro orizzonte di valori modelli irraggiungibili di perfezione, per i quali la performance conta più di tutto e a qualsiasi costo. La società dell’immagine pone al centro il valore della bellezza e dell’apparenza che eternizza la giovinezza come età dell’oro a cui tutti ambiscono, i bambini così come gli adulti.

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La paura oggi prevalente nella mente dei ragazzi, ma non solo, riguarda quindi il non essere all’altezza delle aspettative proprie ed altrui, non essere popolari, ma ritrovarsi brutti e senza un posto riservato nella mente degli altri, in particolare in quella dei coetanei.

La fragilità narcisistica genera il timore di restare soli, non essere apprezzati né pensati, non avere amici, mentre bisogna averne tanti, sentirsi apprezzati e ricercati in ogni ambiente, dalla scuola allo sport, per non parlare di internet. Viviamo, infatti,  in un contesto sociale dove la partecipazione alla dimensione virtuale sembra diventata imprescindibile.

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